
Carne ‘sintetica’, l’Italia dice no
Da tempo si parla della carne prodotta in laboratorio che divide gli Italiani. I pro e i contro di questo nuovo alimento commercializzato in altri Paesi
Giorni fa Consiglio dei ministri ha approvato lo schema di un disegno di legge che vieta la produzione e commercializzazione di alimenti e mangimi sintetici, con multe previste fino a 60mila euro.
Negli Stati Uniti lo scorso novembre la Food and Drug Administration ha dato l’ok alla commercializzazione di nuggets di pollo coltivati in laboratorio. La cosiddetta clean meat (carne pulita) è ottenuta da clonazione delle cellule staminali estratte dagli animali e poi riprodotte in vitro, senza macellazione e la sperimentazione è stata estesa al pesce e al latte. Un decreto che ha subito sollevato un aspro dibattito tra chi è a favore e chi contro la carne sintetica di cui si sta parlando in questi giorni. Il ministro dell’Agricoltura Lollobrigida è intervenuto sul tema sostenendo che i cibi sintetici “non garantiscono qualità, benessere e tutela della cultura e tradizione enogastronomica e di produzione a cui è legata parte della nostra tradizione”.
Il mondo scientifico, che spiega che il termine corretto non è carne sintetica ma carne coltivata o agricoltura cellulare. Secondo Roberto Defez, dell’Istituto di Bioscienze e Biorisorse del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) di Napoli e e membro del comitato etico della Fondazione Umberto Veronesi, che già nel 2019 aveva pubblicato un documento a favore di queste tecniche, intitolato “Dagli allevamenti intensivi all’agricoltura cellulare”, “non si può non vedere che cosa significhi non dover uccidere animali- spiega Defez- vuol dire ridurre il consumo di acqua, terreno e gas serra, considerando che una mucca emette metano da viva, che il degrado del letame genera un altro gas serra come l’ossido di azoto e che la produzione di ogni chilogrammo di carne richiede 15.000 litri di acqua”. Alla luce di queste considerazioni, per Defez è chiaro come “sia necessario esaminare tutti i dati tutti i dati prima di fare qualsiasi valutazione”.
In Italia una start up del Trentino, la Bruno Cell, sta lavorando a questo tipo di carne. Bruno Cell è una startup trentina nata nei laboratori del Centro di Biologia Integrata progettato da Università di Trento e Provincia Autonoma di Trento per esplorare le potenzialità delle biotecnologie per la salute umana. Due professori associati dell’Università, Stefano Biressi e Luciano Conti sono a capo del progetto con cui il Trentino si approccia al cibo “in vitro” che potrebbe avere molte potenzialità per il futuro. Bruno Cell lavora ad una tecnologia di ingegneria genetica per consentire alle cellule staminali di estendere il proprio potenziale differenziandosi senza sostanze chimiche, in modo da produrre carne coltivata in laboratorio, operando sia sulle cellule staminali non solo nei muscoli ma anche nelle cellule adipose, ottenendo così un tipo di prodotto paragonabile alla carne naturalmente grassa che non c’entra nulla con i burger vegani e con la carne vegetale.
Insomma, siamo ancora agli inizi e il dibattito sulla carne in vitro è ancora aperto. Per capirne tutti i pro e contro, bisognerà aspettare.

