
Frigoriferi naturali
Giazzere, crozzi e sorel
Dalle età preistoriche, l’uomo imparò ad utilizzare gli elementi naturali, in particolari condizioni di umidità ed escursione termica, per conservare la carne cacciata
di Valeria Lodesani
L’uomo scoprì nel Neolitico i segreti della lavorazione del latte e dovette risolvere il problema di immagazzinarlo, conservandolo fresco per alcuni giorni, anche in estate, perché affiorasse la panna con cui fare il burro: da che l’origine dei «caselli del latte», costruiti, in gran parte interrati, là dove sgorgava dalla montagna una sorgente di acqua fresca, da cui fare investire il recipiente contente il latte, detta giazzera. Dove era difficile disporre di sorgenti, l’uomo inventò le neverse, caselli con buche profonde 5 metri, aventi diametro di 4, in cui durante l’inverno buttava e pressava neve, coprendola di foglie secche che facessero da coibente ritardandone l’evaporazione. Su quella neve venivano appoggiate, con supporto di legno, le conche del latte.
I crotti
I primi crotti erano limitati a una chiusura muraria degli spazi determinati da grossi massi di frana, in cui spiravano i sorei e sorsero là dove più frequenti erano quei soffi, più gagliardi e più freschi. La proprietà di un crotto era spesso comunitaria e ciascuno aveva diritto di tenervi una o più botti di vino, in un armadio le carni insaccate o secche, con una gestione condominiale che tuttora, senza statuti, senza regolamenti, si tramanda da parte in figlio per tradizione, con scrupoloso rispetto delle cose altrui, ispirandosi a contratti firmati colla stretta di mano, secondo i dettami della civiltà della montagna. Mentre, con l’andar del tempo, si infittirono sempre più le consorterie dei crotti, andò a poco a poco perfezionandosi e dilatandosi l’architettura, con l’aggiunta di locali atti a consentire il ritrovo anche in giorni non estivi. Ad anticrotti circondati da alberi, da siepi, da giardini con panchine e tavoli di pietra che arricchiscono la suggestione naturale, si aggiunsero, costruite sopra il locale del sorel, una cucina e una saletta con focolare, per bruciarvi il ceppo d’inverno e trovarsi a mangiare i marroni o, talora, la cacciagione. Crotti sono disseminati, e richiamano schiere di turisti, in tutta la Valchiavenna, nelle valle Bregaglia italiana e nella Val San Giacomo, ma anche oltre, nell’Alto Lario occidentale.
Il sorel
L’ultimo frigorifero offerto dalla natura ai nostri antenati è il sorel, un fenomeno non solo nostre montagne, ma diffuso anche nelle cuevas a Tinajas della Castiglia, dove si conservava l’acqua potabile in grandi vasi di argilla. Sorà in dialetto lombardo significa «sfiatare» e sorel in dialetto del Lario e della Valtellina vuol dire «soffio» che viene da sotterra. L’origine di quel fenomeno è molto semplice. Premesso che appare in quei territori in cui il sottosuolo, per motivi geologici di varia origine, (morene, alluvioni, frane) è discontinuo e presenta crepe a cunicoli, consentendo la penetrazione dell’aria esterna; questa, termolabile, viene in contatto con l’umidità e i flussi idrici sotterranei che l’alimentano e che sono termostabili, a una temperatura costante, di gradazione che rispecchia la media termica delle precipitazioni nelle varie stagioni. L’aria, venuta a contatto con i flussi sotterranei delle formazioni rocciose adiacenti e assuntane la temperatura e l’umidità, riesce in superficie con una ventilazione blanda e continua, si mantiene pressoché costante, quindi, nell’arco delle stagioni e del giorno, favorevoli alla conservazione di viveri deperibili e alla maturazione ottimale di prodotti genuini, quali i formaggi, i salumi, carni tipo bresaola e violino, vino, birra. Il fenomeno del sorel, dunque, si verifica in un ambito strettamente locale e non per connessioni grandiose con i ghiacciai.

